Il cellulare ha coinvolto il mondo dei sentimenti in modo assoluto. Il 90 per cento delle separazioni avviene per un sms scoperto: perdersi e lasciarsi per una chat o un messaggio è diventata la norma». Anna Maria Sgarbi (nella foto), avvocato di Carpi specializzata in Diritto di famiglia, definisce “il mondo occulto che ti raggiunge in camera da letto” l’impatto rivoluzionario della comunicazione e del web sui sentimenti, sul corpo e sulla sessualità nel nostro tempo. E lo verifica ogni giorno, nei casi di crisi di coppia, come nell’aiuto che le chiedono genitori angosciati che scoprono quello che mai avrebbero sospettato dei figli adolescenti: «Al punto – riflette – che mi è venuta voglia di prendermi una laurea in Psicologia, se non addirittura in Neuroscienze, perché quello a cui stiamo assistendo, a fronte dell’impatto della comunicazione sulle nostre vite, è un vero e proprio cambiamento biologico».
Partiamo dai tradimenti e dall’infedeltà rivelate…
«Sono le donne, le prime ad accorgersene. I maschi sono più lenti, loro più maliziose. Un tempo, i segnali che determinavano una volontà di capire fino in fondo erano la classica chiazza di fondotinta o di rossetto o il conto di un ristorante. Da vent’anni sono stati soppiantati dagli sms e l’espressione che ricorre maggiormente è “sta sempre al telefono, ho controllato il telefono…”. E se prima si ricorreva magari all’investigatore, per trovare i fondamenti di un sospetto, ora è la stessa persona coinvolta a mettersi nella condizione di indagare, perché i dati li trova sul cellulare, che siano chiamate insistenti o messaggi su whats’app. Quando non si tratti addirittura di selfie su facebook…»
C’è chi si mette su facebook fotografandosi con l’amante?
«Con l’amante no, ma per il solo piacere di ottenere dei “mi piace” uno è capace di disseminare tutti gli elementi della menzogna. Per esempio, affidando a Instagram immagini di una cena in un albergo o riprendendosi su uno scoglio al mare, quando magari in casa aveva raccontato di essere fuori per impegni di lavoro. E’ la scusa alla quale si ricorre più di frequente: e invece si va a fare tutt’altro, e capisci quel che è accaduto grazie alla sua voglia di socializzare e di condividere. Dai selfie si viene a sapere tutto: che cosa uno fa, che cosa pensa, arrivando a filmarsi nei rapporti sessuali per mandare il video al partner. Personalmente la ritengo una cosa penosa, una forma di esibizione: non può derivarne un utilizzo sano. Il decorso è abbastanza prevedibile: una crisi di coppia si evidenzia spesso con la fine dell’attrazione sessuale. Sciolto il legame, i due vengono presi dalla voglia di sballo: il primo periodo dopo la separazione è vissuto come una riappropriazione euforica e totale di libertà. Poi subentrano i momenti di depressione. Avviene anche fra gli adolescenti, fra i quali ormai ci si prende e ci si lascia solo sulla base del sesso»
Parliamo di questo, dell’impatto di web e cellulari sul mondo adolescenziale, al centro anche del recente convegno con Alberto Pellai dove sono intervenuti tanti genitori, anche piuttosto preoccupati…
«C’è una storia che considero esemplare, al riguardo anche se, lei capirà, non posso essere troppo precisa nei dettagli»
Ce la racconti…
«Ragazzina di 9/10 anni, di famiglia normalissima, di queste parti, alle prese con un certo disagio fisico, perché un po’ cicciottella… I genitori capiscono che non vive bene e si rivolgono a me. Io le parlo separatamente e lei mi racconta: nessuno mi parla, mi sento esclusa, non sono bella, le mie amiche sono più belle di me, sono grassa… Già a quell’età la fisicità è importante. Passa il tempo, quattro o cinque anni, e mi richiama la madre: mi spiega che nei viaggi verso la scuola i ragazzi suoi coetanei fanno del mobbing alla figlia, la prendono in giro, la umiliano. I genitori per qualche tempo la accompagnano, arrivando così a identificare i bulli che vengono richiamati e ammoniti. E la cosa finisce lì. Solo che la madre si rifa viva qualche tempo dopo e in lacrime mi confida che, avendo visto molto strana la figlia, ha controllato il suo cellulare. E ha scoperto che c’erano immagini a sfondo pornografico, con lei protagonista. Ha capito da qui che la figlia era caduta in una rete di pedofili e che qualcuno aveva fatto leva sul suo desiderio di essere accettata nella sua fisicità, per poterla sfruttare sessualmente. Della cosa si sono fatte subito carico le assistenti sociali ed è stata segnalata alla Procura della Repubblica. La vicenda ha preso dunque le vie del penale, che io non seguo e non posso dirle come sia andata a finire. Posso dirle però che dalle foto si è capito che in due mesi circa è stata con molti uomini diversi. Raccontava che andava da un’amica in bicicletta, poi lasciava la bici, saliva sull’auto di qualcuno che se la portava a casa… E’ stato uno sfruttamento sentimentale e pornografico protratto e lei può immaginare quanto sia stato duro, per la famiglia, dover accettare l’accaduto e farne denuncia all’autorità giudiziaria. Si sa che esistono di questi siti particolari dove un’adolescente può essere catturata facendo leva sulla sua voglia di essere lusingata e apprezzata, siti dove si sprecano i “come sei bella” e i “ti vorrei incontrare”»
Ma che cos’è che fa la differenza rispetto alle crisi adolescenziali che accomunano ragazze e ragazzi di ieri, di oggi e di sempre?
«Credo che una volta ci fosse più attenzione da parte dei genitori ai quali non sfuggiva nulla e non esisteva il mondo occulto che ti raggiunge in camera da letto. Si è sviluppato invece questo mondo web della comunicazione silenziosa e non si esce da lì, come se gli adolescenti fossero rinserrati in un circuito chiuso. Un tempo c’era magari lo sfogo con il fratello, con la zia, comunque in un ambito familiare che ti trasmetteva la sensazione che eri protetto, che la famiglia c’era e ti voleva bene. Oggi, a fronte della liberazione dalla famiglia, non si è però conquistata autonomia e più si è chiusi in quel giro, più si ha vergogna a parlarne. Si crea una rete di sfogo, per qualsiasi problema: una bocciatura a scuola, l’atteggiamento verso il cibo, il vomitare. Ci si sfoga all’interno di quella rete, ma non è produttivo, non ne deriva alcun segnale utile, l’amica che riceve mille messaggi è quella che ti dice la stessa cosa di sé. E’ uno sfogo che si consuma nell’aria. C’è anche da dire che si è consolidata fra i ragazzi la convinzione che tutto debba essere facile, per cui non deve esistere lo star male. Si telefona all’amica perché dice delle belle cose, mentre manca il confronto con le persone che sappiano metterti di fronte alle tue responsabilità…»
E’ una chiamata a correo dei genitori?
«Ci vedo molto il mondo delle separazioni. Scatta qualche cosa di particolare, in due genitori separati, Ci sono troppe cose che debbono fare: vestire alternativamente il ruolo del padre e della madre, provvedere a se stessi, trovare spazio per nuovi sentimenti e costruirsi una nuova vita. Dunque, il tempo fuori dal lavoro che dovrebbe essere assorbito dai figli, in molte coppie separate è dedicato invece al proprio ego, a rifarsi un’esistenza, a restituirsi a una vita sociale, alla palestra, al ballo, agli aperitivi…»
Lei vede un nesso molto rigido, tra le due cose?
«Dico solo che nelle separazioni è molto più evidente, con l’effetto di diminuire di molto l’attenzione, che significa parlare con i figli e ascoltarli. Un bravo genitore dovrebbe chiedere ogni tanto “come stai?”, trattenendosi invece dal dire “io alla tua età facevo questo e quello”, perché aggrava solo la situazione di disagio e il figlio si conferma nell’idea del genitore con i soldi, arrivato, ben vestito, con la macchina mentre lui è bruttino, complessato e magari con i brufoli in faccia. E’ l’umiltà del genitore che può trasmettere sicurezza al figlio. Quello che non è cambiato, oggi, rispetto a ieri è la natura delle persone: abbiamo sempre bisogno di amore, di attenzione, di essere ascoltati, specie nell’adolescenza. I problemi sono sempre uguali. Se non li si affronta e si cerca di risolverli, prendono la via del web»
Nel 2007 lei ha pubblicato un libro dal titolo “Giuliano Gramsci, lettere a mio padre” che all’epoca venne letto soprattutto in chiave politica. Alla luce di quanto ci ha detto, pare di poter cogliere invece un collegamento anche con quello che le sta rivelando la sua professione.
«Giuliano Gramsci era un uomo che fu privato proprio della dimensione familiare. Quando gli chiesi come avesse vissuto la condizione di non aver mai potuto conoscere il padre (Antonio Gramsci morì in prigione, quando Giuliano aveva 11 anni, ndr) mi ha parlato di lui con angoscia, nostalgia e rimpianto. E della convinzione a lungo nutrita che prima o poi sarebbe tornato. Non è mai accaduto e ne ha molto sofferto, ricavandone la poca autostima e avvertendo molto il fatto di essere cresciuto solo con donne, sua madre Giulia e le zie Tatiana ed Eugenia. Il suo carattere è stato determinato da vicende familiari. E’ accaduto a lui, accade anche con gli adolescenti di oggi».